LA STORIA FINORA: A Rio Valiente, (paese centroamericano un tempo sotto dittatura) arrivano alcuni mercenari americani, guidati da un uomo estremamente assomigliante a Steve Rogers: il loro compito è assassinare il presidente della repubblica. Donna Maria Puentes, ex guerrigliera, ex membro dello staff dei Vendicatori e oggi agente segreto del governo di Rio Valiente, chiede a Nick Fury informazioni sul misterioso uomo. Il direttore dello S.H.I.E.L.D. gira le informazioni all’ex Capitan America e alla sua squadra. Steve riconosce nell’uomo Mike Rogers, un misterioso individuo che millanta una lontana parentela con lui, e che è stato anch’esso sottoposto ad una variante del siero del supersoldato. Essendo direttamente interessato, Steve – accompagnato da Bucky e da Nomad – vola a Rio Valiente, mentre Sharon e Yelena sono impegnate in un'altra missione. Durante un assalto alla residenza presidenziale Steve porta in salvo il Presidente, ma si trova di fronte Mike ed il suo avversario riesce ad impadronirsi di un’arma e sparargli.

 

VIVE Y DEJA MORIR

Di

Carlo Monni & Carmelo Mobilia

 

 

Rio Valiente, Centro America.

 

Mike Rogers premette il grilletto una, due, tre volte, ma il risultato fu sempre lo stesso: nulla.

<Maledetto! Con quel tuo calcio devi averla inceppata...> esclamò Mike, furioso <Non importa: basteranno le mie mani a farti fuori.>

Anche se sei un supersoldato, ricevere un calcio nei genitali fa comunque un male cane. Steve stava annaspando e ringraziava la buona fortuna che l’aveva aiutato o a quest’ora sarebbe morto… cosa che sarebbe successa comunque se non si dava una mossa.

Raccogliendo le sue ultime forze, Steve rotolò di lato evitando di misura un letale colpo vibrato col taglio della mano in direzione del suo collo, un colpo che con assoluta certezza gli avrebbe spezzato le vertebre cervicali.

 

 

New York, sede dei Vendicatori Segreti.

 

Non è facile essere un genio, pensava il giovane Amadeus Cho mentre sgranocchiava una barretta di cioccolato e se sei anche un bambino prodigio è pure peggio. Non aveva mai legato davvero con quelli della sua età e le ragazze… beh le ragazze erano un problema serio, doveva ammetterlo, specie ora che lavorava per questa squadra segreta: la Carter e la Russa erano due belle sventole ma lo consideravano solo un ragazzino e questo era frustrante.

Ora poi la Carter era fuori, certo aveva esagerato con quel prigioniero[1] e lui capiva perché il Comandante Rogers si era arrabbiato, ma era un peccato lo stesso.

Cho si alzò in piedi. Forse era avanzata qualche altra barretta, pensò, le idee migliori gli venivano mentre mangiava le merendine dopotutto, quindi perché non approfittarne?

Quel posto era deserto ed inquietante. Dov’erano finiti tutti? Magari uno sguardo veloce al computer per un rapido aggiornamento della situazione... Ah… ecco qua: Rio Valiente… e dove diavolo era? Ah eccolo qui… giusto un puntino sulla carta geografica, perché preoccuparsene tanto?

Amadeus si chiese se non fosse il caso di avvertire la Belova e magari anche la Carter. Non avevano una missione insieme nella zona dei Caraibi o erano già tornate?

Ma no… in fondo Rogers e i suoi ragazzi non potevano aver problemi a cavarsela da soli.

 

 

Rio Valiente

 

Se si fermasse a riflettere, potrebbe pensare a lui come ad un suo riflesso oscuro: un ardente patriota che si offre come cavia per il siero del supersoldato e si trasforma in uno psicopatico furioso con la bava alla bocca. Com’era successo a lui e al “suo” Cap negli anni 50. Se si fermasse a riflettere, proverebbe compassione e una forte empatia per lui. Ma se si fermasse a riflettere, anche solo per un secondo, Jack Monroe verrebbe senz’altro ucciso da Frank Simpson. Frank era forse un lottatore meno abile di Jack, ma si batteva come un indemoniato e pareva essere fatto di pietra e non patire i colpi del suo avversario: Nomad gli colpì gomiti e ginocchia nel tentativo di romperglieli, ma non ci riuscì.

<Questo non ha solo il siero del supersoldato nelle vene. Non lo stesso che hanno dato a me, comunque. Quelle ossa e quei muscoli poi... ma di che sono fatti, di cemento? ‘Sto bastardo non si stancherà tanto presto, e sta rispondendo ai miei colpi migliori ... o m’invento qualcosa o ci lascio le penne, stavolta.>

Un pugno di Nuke, destinato al volto di Jack, andò ad infrangersi contro il muro, ma le nocche non ne risentirono minimamente. Sembrava realmente indistruttibile, ma di certo non glaciale: i suoi occhi spalancati, la mascella serrata, i grugniti che faceva ad ogni colpo che emetteva trasmettevano chiaramente la sua furia.

<Quelli come te mi fanno vomitare!> gridò <Tradire il vostro paese per sostenere comunisti come Martinez! La morte non è abbastanza per gli infami come voi!>

<Comunisti? Aspetta un attimo ...>

Certo contraddirlo non era la cosa migliore da fare. Non che in condizioni normali Nuke fosse un tipo con cui poter trattare – specie su certi argomenti – ma quand’era strafatto delle sue pasticche rosse era più simile ad un animale selvaggio che ad un uomo.

 

***

 

La scena ricordava quella dei film western, quando i due pistoleri si nascondevano dietro i barili e dietro gli steccati, solo che loro si riparavano dietro il marmo delle colonne e delle scalinate della villa. L’aria era pregna di polvere da sparo, i fori dei proiettili erano ovunque.

<Sai quand’è stata l’ultima volta che mi sono trovato in uno stallo alla messicana come questo? Nell’aprile del ’56; mi sono scontrato a Hanoi con un figlio di puttana russo che mi aveva impedito di ammazzare il vecchio Zio Ho.[2] Se tu non fossi americano e così giovane, giurerei di star sparando allo stesso tizio.>

Ovviamente, Crimson Commando non poteva sapere che il Soldato d’Inverno era effettivamente quello stesso uomo. Non aveva un ricordo altrettanto preciso di quell’evento, ma anche James Barnes provava un bizzarro senso di dejà vu su quanto stava accadendo.

Ma non era quello che importava, in quel momento: Bohannan andava fermato, ma adesso era lui ad avere un vantaggio.

<È inutile che cerchi di prendere tempo. Hai finito i colpi, li ho contati. Io invece ho il caricatore pieno.> esclamò facendo partire una scarica di avvertimento <Esci con le mani alzate. Consegnati e ti do la mia parola che non ti sarà fatto alcun male.>

<Ragazzo, sto nel giro da molto più tempo di te e so bene quanto vale la parola data in queste circostanze... credimi, ho lavorato anch’io per il governo, so di cosa parlo... e poi, non ho ancora perso.>

Dalla sua cintura prese un fumogeno e lo lanciò verso il suo avversario: una cappa nera e densa riempì l’aria, impedendo al Soldato d’inverno di prendere la mira.

<Bastardo...> disse tra i denti.  Tutt’intorno era nero come la pece. Ma l’occhio bionico in dotazione a Crimson Commando gli permetteva una visione ad infrarossi e riusciva benissimo ad individuare la posizione del rivale. In men che non si dica gli arrivò alle spalle e tentò di tagliargli la gola con il suo pugnale. Solo i riflessi di Bucky gli impedirono di venire sgozzato; gli bloccò il polso fermando la lama a pochi centimetri dal suo collo. Con la sua mano sinistra afferrò la lama e la spezzò stringendola nel suo palmo, poi con una rapida capriola si allontanò dal suo attentatore.

<Tu... non sei normale.  Nessun uomo può fare una cosa del genere senza sanguinare. Anche tu hai avuto dei “ritocchini” non è vero?>

Il Soldato d’Inverno non rispose, ma si preparò a combattere.

 

***

Ignora il dolore, si disse Steve, ignoralo e agisci o la tua vita finirà stanotte.

Come se gli avesse letto nel pensiero, Mike gli si avvicinò dicendo:

<Non servirà a niente e lo sai. Non fallirò il secondo colpo.>

Aveva ragione: Il dolore era ancora forte e per come si sentiva Steve, gli sembrava di aver esaurito le forze. Se avesse potuto riposarsi per qualche minuto ma non aveva tutto quel tempo. Sentì Mike avvicinarsi e fermarsi di colpo per raccogliere qualcosa da terra: una mitraglietta abbandonata da una delle guardie presidenziali.

<Magari questa funziona.> lo sentì borbottare.

Steve si sentiva come se i suoi movimenti fossero al rallentatore, ma in realtà fu veloce quanto bastava.

Dal suo polso sinistro uscì come una specie di lampo e Mike Rogers si sentì proiettato all’indietro come se avesse ricevuto il calcio di un mulo. La mitraglietta gli sfuggì di mano mentre partiva una raffica che si esaurì in aria.

Ora siamo pari… più o meno, pensò Steve mentre finalmente riusciva a rimettersi in piedi. Il dolore c’era ancora ma adesso riusciva a sopportarlo meglio. Camminare era una specie di tortura ma doveva raggiungere il suo avversario che si stava rialzando e stava cercando di recuperare la sua arma.

In quel momento una raffica di proiettili disegnò una riga davanti ai piedi di Mike Rogers.

Donna Maria Puentes era tornata con dei rinforzi. Aveva una medicazione d’emergenza alla spalla ed era piena di morfina per non sentire il dolore, ma non poteva lasciare da solo Steve.

Mike soppesò la situazione e decise che non valeva la pena di ostinarsi a combattere: il guerriero che fugge è buono per un’altra volta[3] dopotutto. Gettò la mitraglietta e di colpo si voltò e cominciò una frenetica corsa a zig zag verso l’elicottero mentre le guardie sparavano senza riuscire a colpirlo.

<Fermi!> urlò Steve <Non sparate!>

Troppo tardi: uno dei proiettili raggiunse il motore dell’elicottero che esplose.

Tutto quello che vide Steve fu una palla di fuoco che sembrava occupare tutto il suo orizzonte visivo ed il cui calore sembrava abbrustolirgli la faccia. Lo spostamento d’aria li sbatté tutti a terra. Quando rialzarono la testa, sul terreno c’era solo quel poco che restava dell’elicottero, una sorta di scheletro di metallo annerito e contorto. Tutto intorno si sentiva odore di erba bruciata.

<Quel… quel tuo cugino deve essere stato disintegrato dall’esplosione.> commentò Donna Maria.

<Ne dubito.> replicò Steve <Qualcosa sarebbe rimasto comunque. Penso che sia saltato… o sia stato sbalzato… giù dalla scogliera.>

<Allora è spacciato comunque.> concluse la ragazza <Un salto di oltre trenta metri e gli scogli di sotto: nessuno potrebbe sopravvivere.>

<Io ci sarei riuscito.> si limitò a rispondere Steve.

 

 

Interno della villa.

 

La cosa stava andando per le lunghe, ormai. Nuke non cedeva di un millimetro e Jack le aveva provate tutte per stenderlo. Forse doveva cambiare approccio. Non voleva perdere quello scontro; da quando s’era unito alla squadra, non era riuscito a fermare il Soldato d’Inverno al Campidoglio,[4] s’era fatto catturare prima da Zakharov e poi da Machinesmith e adesso stava fallendo anche nel fermare questo marine impasticcato. Un curriculum non esemplare. No, stavolta doveva portare a termine la missione. Cercò di colpirlo alla gola, con l’intento di sfondargli la trachea, ma Nuke parò il colpo con l’avambraccio e rispose afferrandolo con violenza e sbattendolo contro il muro. Jack sentì le sue ossa erano quasi sul punto di rompersi. Riuscì ad accecare momentaneamente Nuke infilandogli un pollice in un occhio, e mentre lui si portava le mani al volto, lui ne approfittò per divincolarsi e mettere distanza dal quel bestione.

Forse sconfiggerlo in combattimento non bastava. Forse per fermare Frank Simpson avrebbe dovuto ucciderlo. Vide che il suo fucile distava solo pochi metri. Doveva impadronirsene, e poi sparargli.

Come l’avrebbe presa Steve? Di certo non bene, conoscendolo; ma lui non era lì in quel momento, e ne andava della sua vita. Si sarebbe inventato una scusa, dopo. Al massimo, lo avrebbe cacciato, come aveva fatto con Sharon ... e chissà se questo non li avrebbe avvicinati?

Si avventò sul fucile ma non riuscì ad afferrarlo però, perché non appena il biondo supersoldato lo vide avvicinarsi alla sua arma, venne impadronito da un’insolita furia cieca.

<BETSY! LASCIA STARE BETSY!> urlò e lanciandosi contro su di lui, lo afferrò e lo sollevò sopra la sua testa lanciando un urlo animalesco. Jack era terrorizzato e impossibilitato a reagire. Nuke lo avrebbe sicuramente ucciso, se il crollo del piano superiore non li avesse divisi.

Per qualche secondo, ci fu una densa nebbia che impediva di vedere ad un palmo dal naso. I due erano avvolti dalle macerie privi di sensi.

 

 

Poco prima.

 

James Barnes aveva letto il dossier di Crimson Commando: la sua mutazione lo rendeva fisicamente pari ad un supersoldato, e aveva un addestramento esemplare. Batterlo in un corpo a corpo non sarebbe stato facile. Tuttavia, anche lui era un combattente altamente qualificato, e non si tirava certo indietro: cercò di colpirlo alla testa con un calcio, ma Bohannan riuscì a scansarlo. Poi fu la volta di Frank cercare di colpirlo con un diretto al mento, ma Bucky lo evitò abbassandosi e lo centrò con un montante sinistro, il suo braccio più forte. Commando però si rimise in piedi in men che non si dica.

<Niente male ...> disse togliendosi il sangue dalla bocca con la manica. Era pronto a contrattaccare ma il suo orecchio bionico intercettò una chiamata.

<<Frank, sono io. Ritiriamoci. Missione annullata.>> ordinò Mike Rogers.

<Figliolo, è stato un piacere ma temo che dovremo rimandare.>

<Non te ne andrai di qui.> rispose Bucky.

<Oh si invece...>

Ancora una volta mise mano alla sua cintura e di nuovo ne tirò fuori una capsula. La lanciò con vigore e si gettò nella direzione opposta; istantaneamente il Soldato d’Inverno capì di cosa di trattasse e lo imitò.

Era un ordigno esplosivo che pochi secondi dopo scoppiò e la detonazione fece crollare metà del piano superiore. Bucky s’era messo al riparo, ma i detriti gli sbarravano la strada e gli impedivano di inseguire il suo avversario. Una cosa non casuale ma fortemente voluta. Frank Bohannan era un avversario maledettamente in gamba, su questo non c’erano dubbi. Bucky provava una certa ammirazione per la sua abilità. Non sarebbe finita in quel modo, tra loro. Di certo di sarebbe stato un secondo round.

 

***

<Jack… stai bene?> domandò Steve. Jack Monroe riprese conoscenza tra mille dolori.

<Si... si sto bene, niente di rotto per fortuna. Dov’è il paracarro con cui stavo combattendo?>

<È sparito. Di certo fuggito insieme al suo socio.>

<Il crollo è stato causato da una granata a frammentazione lanciata da Crimson Commando. È servito per causare il diversivo con cui fuggire. È stato abile, non c’è che dire.> disse Bucky.

<Questo conferma la mia teoria che Mike Rogers sia sopravissuto. Ha ordinato una ritirata per riorganizzarsi.> affermò Steve.

<Se convinto che ci riproveranno, non è vero?> disse Donna Maria.

<Ne sono certo. Non rinuncerà. Stiamo affrontando tre supersoldati altamente addestrati. È convinto di potercela fare. Forse non si aspettava la nostra presenza, ma ora abbiamo perso il vantaggio dell’effetto sorpresa. La prossima volta non sarà impreparato, statene certi.>

<C’erano due donne con loro, all’aeroporto, ma non si sono viste. Pensi stiano preparando una controffensiva?> domandò ancora la ragazza.

<Tu e Jack andate a farvi vedere dal dottore. Io preparerò un piano.> rispose Steve.

 

 

Virginia, Villa Carter

 

Sharon Carter aveva appena aperto il portone della villa che una specie di ciclone gli piombò addosso.

<Mamma… sei tornata … sei tornata!>

Sua figlia Shannon le era balzata addosso con così tanta foga che Sharon aveva quasi perso l’equilibrio. La prese in braccio e la bambina poggiò il capo contro la sua spalla.

Subito dopo Sharon entrò una ragazza bionda apparentemente più giovane di lei.

<Questa è la mia amica Yelena, Shannon.> la presentò Sharon.

<Ye… le… na.> sillabò la piccola un po’ incerta.

<Brava… ora… cosa dice una brava bambina quando le presentano qualcuno?>

<Ciao… Lena… io mi chiamo Shannon… Shannon Margaret Carter.> la bambina sembrava compiaciuta di esser riuscita a dire il suo nome per intero e fece un bel sorriso.

<Ti avevo detto che si chiama Ye…>

<Lascia stare.> la interruppe Yelena <Lena va benissimo, vero Shannon?>

<Sì sì, verissimo.>

In quel momento comparve l’inappuntabile maggiordomo e Sharon gli si rivolse:

<Smithers, miss Belova si fermerà da noi qualche giorno, porta la sua valigia in una delle camere degli ospiti.>

<Subito Miss Sharon.>

<Tu abiti davvero qui?> la voce di Yelena mostrava incredulità e una sorta di timore reverenziale <Il mio appartamento a Mosca è più piccolo di questo atrio.>

<Beh… sì… è un po’ pretenziosa.> ammise Sharon <Ma è qui che sono cresciuta e volevo che Shannon conoscesse le sue radici… o forse era senso di colpa per…> Sharon cambiò improvvisamente discorso <Sono contenta che hai accettato di venir qui. Mi fa piacere avere qualcuno con cui parlare.>

Yelena fece un cenno d’assenso. In fondo anche lei aveva bisogno di tempo per riflettere e New York non era il luogo adatto… e poi… forse qui avrebbe potuto capire qualcosa di più dell’enigmatica Sharon Carter.

 

 

Nassau, Capitale delle Bahamas, 1966.

 

Il Soldato d’Inverno aveva atteso a lungo questo momento: i suoi pensieri erano occupati quasi esclusivamente dal bersaglio che aveva inquadrato nel mirino.

Ad essere esatti, erano due i bersagli: uno era l’agente britannico che si faceva chiamare John Bryce e l’altro era un importante funzionario dei servizi segreti cubani, un traditore.

Il compito di Bryce, un nome falso come il peccato, per quanto conservasse le iniziali di quello vero, era portare sano e salvo il cubano a Londra, quello del Soldato d’Inverno era impedirglielo.

Entrambi gli uomini erano inquadrati nel mirino. Il Soldato aggiustò la mira ed il suo dito indice si strinse sul grilletto.

Senza esitare sparò.

 

 

Rio Valiente

 

Il perché la donna con l’accento russo tenesse i capelli nascosti dal foulard e indossasse gli occhiali anche dentro quella stanza rimaneva un mistero. Sembrava che si vergognasse del suo volto, sebbene da quel poco che si intravedeva, sembrava essere una bella donna. L’americana viceversa aveva un certo carisma e non aveva la minima esitazione nel parlare con un certo tono autoritario.

<A quanto pare Martinez è sopravissuto all’attacco. Non ci aspettavamo l’intervento degli americani.>

<Siete certi che si tratti di agenti americani, miss Runciter?> domandò l’uomo seduto in penombra.

<Sì. Mike ... il comandante Rogers ne è assolutamente certo. Ha riconosciuto uno di loro.>

<Perché sono intervenuti? Chi li ha avvisati del nostro attacco?>

<Non lo sappiamo. Siamo stati presi di sorpresa.> ammise Gail.

<Dev’essere opera di Nick Fury. > esordì Iron Maiden <Ho avuto a che fare con lui e lo S.H.I.E.L.D. Deve avere un informatore all’interno del paese.>

<Una talpa tra gli uomini di Blanco?> chiese ancora il misterioso uomo.

<Non necessariamente.> gli rispose la russa.

<Male. Se c’è veramente lo S.H.I.E.L.D. dietro, il nostro piano va a farsi benedire.>

<No, signor vice presidente. Non è necessario abortire l’operazione.> disse la Runciter. <È vero, c’è stato un imprevisto, ma possiamo ancora eliminare Martinez. Se c’è una cosa che la storia ci ha insegnato, è che si può uccidere chiunque.>

Il vice presidente Arturo Velasquez si lisciò il mento. Che fare? Martinez era sopravissuto, era forse il caso di annullare tutto? D’altronde, era da troppo tempo che aspettava di fare la sua mossa. Un’occasione del genere chissà quando sarebbe ricapitata... ci pensò sopra qualche minuto e poi disse:

<D’accordo miss Runciter. L’operazione va avanti.>

 

 

Altrove.

 

<Jack e Maria come stanno?> chiese Steve Rogers al Soldato d’Inverno.

<Sono in infermeria.> rispose questi <Quello di Maria è solo un colpo di striscio, ho visto di peggio. Anche Jack si sta riprendendo bene. Quel ragazzo è tosto, mi sorprendono le sue capacità di recupero ... merito del quel vostro siero presumo.>

<Sì. E quindi puoi star certo che anche i nostri nemici stanno guarendo altrettanto rapidamente.>

<Questa storia ti sta logorando. Quel tuo ... cugino sta provocando in te una certa vena rabbiosa.>

<Si chiama Rogers, è una questione personale. Devo catturarlo, ha troppe cose di cui rispondere.>

<Steve, scusa se mi permetto ... e so che può sembrare strano, detto da un ex sicario come me, ma il nostro obiettivo è evitare che il presidente Martinez venga ucciso. Non farti ossessionare da quell’uomo.>

Steve sospirò. Aveva ragione. Quell’uomo lo irritava come non capitava da tempo e lui non doveva perdere di lucidità.

<Hai ragione Buck. Non devo farmi offuscare la mente dalla rabbia. Non è mai la cosa giusta da fare.> rispose Steve poggiandogli una mano sulla spalla.

<Hai già pensato ad un piano?>

<A dire il vero, si. È ovvio che adesso si aspettano un nostro intervento. Dobbiamo attirarli fuori, stanarli offrendo loro un bersaglio irresistibile.>

<Non pensi che fiuteranno la trappola?>

<Sono certo di si. Ma conto sul fatto che Mike Rogers non resista alla tentazione di sfidarmi. Convoca una riunione con gli altri, vi darò i dettagli. Buck, il tuo contributo sarà indispensabile. >

<Puoi contare su di me.> rispose lui.

 

 

Da un’altra parte.

 

Mike Rogers era perplesso: l’uomo con cui si era battuto chi era veramente? La ragazza lo aveva chiamato Steve ma non poteva essere Steve Rogers, non quello vero, non quello la cui salma riposava ad Arlington sotto un monumento di marmo, quindi la risposta non poteva che essere quella che lui aveva indovinato: Nick Fury, quel dannato bastardo, aveva rimesso in sesto il Cap degli anni 50 egli aveva dato una nuova missione.

Mike non riusciva ad accettare l’idea che le cose stessero esattamente all’opposto. Era il Cap degli Anni 50 a riposare ad Arlington ed il “vero” Steve Rogers ad essere il suo avversario.

Era dal 1942 che provava un misto di rispetto ed invidia per il suo lontano cugino. Per lui era più semplice esorcizzarne il ricordo accettandone la morte. Del resto, perché Steve avrebbe dovuto fingere la propria morte per lasciare ad altri il ruolo di Capitan America? No. Steve Rogers era morto ed il suo avversario era un impostore. Non c’erano altre spiegazioni.

E se invece i suoi committenti avessero cercato di fregarlo? Con quei tizi abituati ai complotti nell’ombra non si poteva mai essere sicuri di niente, in fondo. Avrebbe dovuto scoprirlo una volta tornato dalla missione. A proposito della quale…

<Gail…> disse rivolgendosi all’ex agente dello S.H.I.E.L.D. <… chiama gli altri. È ora di dare il via al piano di riserva.

 

 

Altrove

 

<È permesso?> chiese Steve bussando alla porta dell’infermeria.

<Si entra pure.> rispose Donna Maria.

<Sei vestita?>

<Se non lo fossi, sarebbe un problema? Non c’è nulla di più di quanto hai visto ieri sera ...> rispose maliziosamente la ragazza.

<Maria ...> disse Steve, sorridendo imbarazzato per l’allusione.

<Ah sei così carino quando arrossisci ...>

Scherzava e provocava. Un segno che stava bene. Steve era sollevato.

<Beh vedo che ti sei ripresa da quella ferita, se ti va di prendermi in giro...>

<È stato solo un colpo di striscio. I dottori mi hanno messo qualche punto e imbottito di antibiotici.>

<Dovresti stare a riposo Maria. Seppur di striscio, come dici, è sempre una ferita d’arma da fuoco. Hai perso molto sangue.>

<È per il mio paese che stiamo lottando, Steve.> rispose lei, tornando seria <Non puoi chiedermi di farmi da parte. Non sono più la ragazza spaventata che dovevi proteggere dalle mostruosità di Zola. Sono un ex agente dello S.H.I.E.L.D., posso sopportare qualche graffio.>

<Non dubito della tue qualità o del tuo coraggio, sono solo preoccupato per te.>

<Con quella bionda ... Sharon ... saresti stato altrettanto apprensivo? Mostrami un po’ di considerazione!>

Non avrebbe potuto essere più pungente. Il riferimento a Sharon aveva ricordato a Rogers parecchie cose. Lei e Donna Maria erano due donne dal carattere opposto, ma avevano la stessa forza e la stessa caparbietà. Sapeva bene che non l’avrebbe mai convinta a rinunciare, proprio come non ci sarebbe mai riuscito con Sharon. Questo fece balenare nella sua testa un’idea.

<Non volevo offenderti Maria. Mi spiace che tu te la sia presa. Se mi garantisci di potercela fare, per me va bene. Finisci di preparati e raggiungici nella sala riunioni tra dieci minuti. Sto preparando un briefing per la prossima missione.>

<Ora si che mi piaci.> gli disse sorridendogli <Arrivo subito.>

 

***

 

Era inevitabile che il terribile attentato alla villa del presidente finisse sulle prime pagine di tutti i quotidiani e nei telegiornali. Il paese era spaventato; aveva visto scorrere troppo sangue e l’idea di una nuova guerra civile terrorizzava la popolazione. Occorreva quindi calmare le acque. Un messaggio forte, deciso, per tranquillizzare il popolo sulle condizioni del proprio capo di stato e per garantire la sicurezza nazionale. Hugo Martinez avrebbe fatto un discorso alla nazione dal balcone del palazzo presidenziale a mezzogiorno dell’indomani. Una tradizione tipicamente sudamericana. Per lui sarebbe stato come dipingersi un bersaglio sulla fronte. Un’occasione troppo invitante di eliminarlo per i suoi attentatori, ma allo stesso tempo un’esca per stanarli. Ed era appunto su quello che contava Steve Rogers. Era diventata una sfida di strategie fra i due lontani parenti. Per adesso, il Rogers “buono” era in vantaggio rispetto al cugino “cattivo”.

Il giorno dopo, tutti volevano vedere in che condizioni fosse il presidente, benché i telegiornali avessero già garantito sulle sue condizioni. La grande balconata si affacciava sulla celebre Plaza de la Libertad che era gremita di gente: una folla così numerosa non si vedeva dai funerali di Evita Peron. Oltre la piazza, v’era un enorme grattacielo. Certo era molto distante, ma da lì si poteva godere una visuale completa del palazzo, e per di più frontale. Il punto ideale dove collocare un abile cecchino. E Crimson Commando era un tiratore eccezionale. L’occhio bionico che gli avevano installato era più preciso di qualunque mirino, e il suo fucile era uno di quelli a lunga gittata. Non appena Martinez si fosse affacciato sarebbe entrato immediatamente nel suo campo di tiro e poi -  bang! –

Addio presidente. 

<<Ci sei, Frankie?>>

<Sono in posizione. È solo questione di tempo. Martinez ha i minuti contati ...>

 

 

CONTINUA...

 

 

NOTE DEGLI AUTORI

 

 

Note scarnissime questa volta: tutto quel che vi serviva sapere lo avete letto nella storia. Giusto perché siamo buoni, però, vi diremo che il titolo è la traduzione in Spagnolo di quello di un celebro romanzo e film di James Bond 007. Quale? Suvvia, non è così difficile. -_^

 

 

Carlo & Carmelo



[1] Vendicatori Segreti #13.

[2] Nomignolo di Ho Chi Minh, Leader storico del Vietnam del Nord.

[3] Vecchio proverbio dei Nativi Americani o Indiani che dir si voglia.

[4] Nel n. 2